Nel blog non mi occupo mai di questioni di questa natura. Inoltre quanto sto per accingermi a scrivere risulterà assolutamente inutile. Eppure non so, non riesco ad esimermi dal farlo. La vergogna che provo per l’esser necessariamente parte, mio malgrado, della nuova ed ennesima tragedia ucraina che la mia, la nostra, ipocrisia continua a consentire, questa di ora, come pure le tante altre tragedie disseminate su questo devastato pianeta, trovano, volenti o nolenti, ragione proprio nella nostra insita ipocrisia. Nella nostra agile facilità nel saper girare la testa altrove.
Ancora una volta siamo di fronte alla egocentrica follia di due imperi, l’uno più colpevole dell’altro.
L’uno, la Russia, fermo nella sua volontà zarista di ristabilire e far valere l’equilibrio geo-politico che si sente sottratto, in un progetto di ri-espansione che ha l’amaro sapore del grottesco cinematografico, genere Dottor Stranamore.
L’altro, gli Stati Uniti, la cui arroganza e convinzione di invincibilità presenta oggi il conto della polvere nascosta sotto agli, ormai, innumerevoli tappeti. Deplorevolmente e immoralmente contravvenuti agli impegni presi, a seguito del termine della guerra fredda, con Gorbačëv sul non ampliamento dei paesi Nato ai confini russi. Accordi ovviamente e prontamente disattesi nel giro di pochi anni, come del resto nello stile di un paese alimentato dal mito della conquista e della legge del più forte (insomma liberista e spietato), seppure sapientemente ammantato dal mito della libertà (dei pochi a danno dei molti) che, in questa vicenda, tutto sommato spera di sostituirsi come maggiorente fornitore di gas all’Europa rispetto alla Russia stessa.
E l’Europa? L’Europa è gregaria, succube strascico degli impegni e transazioni economiche che la vincolano ad entrambe. È il nipotino in calzoncini corti che ansiosamente attende la paghetta per il gelato. Il nostro misero paese più degli altri, strozzato dal cordone ombelicale statunitense dal termine della seconda guerra mondiale.
La retorica si fa roboante, piena d’imperanti affermazioni su ferme condanne e prese di posizione, sanzioni economiche folgoranti. Tanto più roboante per nascondere l’inefficacia, l’impossibilità, l’incapacità di un agire concreto, dovuto alla debolezza politica, economica, militare e morale degli stati europei, divenuti materia dissolta dalle colpe e dalle vischiose vicende e relazioni attuate nelle rispettive vicende storiche.
Così l’egocentrico delirio imperialista dei due stati, e la subdola ipocrisia degli altri, erodono ulteriormente un futuro già straziato, come appartenesse loro, come non sopraggiungesse un dopo di loro. Un dopo che si chiamano figli, nipoti, generazioni a venire alle quali sottraiamo respiro civile, sociale, economico, ambientale, lavorativo, morale, emotivo, vitale.
Solo una speranza posso sperare, si liberino di noi, indegni parassiti, quanto prima.
Si perché questa guerra che oggi si manifesta nella violenza delle armi sottostà a quella silenziosa della finta diplomazia, esercitata a tutti i livelli negli scontri tra le federazioni che si tengono da tempo immemorabile dai banchi dei parlamenti, dalle scrivanie aziendali, nelle dinamiche delle lotte dilanianti tra confederazioni, salottini buoni e immacolati che celano volti d’oltretomba e di morte. Morte dell’intelligenza dove l’interesse privato e immediato sbrana ogni possibilità di costruzione futura, di convivenza “davvero” civile. Dinamiche comportamentali che ogni giorno replichiamo anche nell’infinitamente piccolo del nostro quotidiano lavorativo e sociale, tramite una mentalità corrotta che rende putrescente il futuro ancor prima che sia. A dimostrarlo questa guerra che si svolge oggi nel cortile di casa nostra e che, improvvisamente e ipocritamente, ci desta tanta preoccupazione. Quando le infinite e ininterrotte guerre susseguitesi, e ancora in atto, pensavamo fossero altrove, che tutto sommato non ci riguardassero o, addirittura, ci convenissero e ne potessimo trarre vantaggi e profitto. La guerra, armata o silenziosa, non è mai altrove, è contagiosa molto più del covid, perché connaturata ai nostri modelli di vita: economici, sociali e di pensiero, ne siamo così invischiati che oggi ci palesa l’impossibilità di una vera decisione, di una vera presa di posizione, perché avremmo troppo da perdere essendo componente del problema stesso. Meglio allora raccontarsi la roboante retorica che ci fa gonfiare il petto e il portafoglio per sottrazione altrui dell’ora e del dopo.
Una volta di più raccogliamo il frutto avvelenato di quel pensiero che ha voluto decretare la fine degli ideali di emancipazione e di futuro, perché fattosi irreparabilmente dicotomico al modello capitalista affianco al quale era nato e che appariva ormai perire a seguito dei totalitarismi, delle guerre, delle bombe del Novecento. Meglio allora apparve abbandonarsi all’edonismo del solo presente. Ecco cosa stiamo effettivamente raccogliendo, i guasti del postmoderno, di un pensiero senza progetto e quindi deforme.